Cinque riflessioni sugli avvocati … scritte da un avvocato *

Ma spiegami un po’, come concili la tua coscienza con la possibilità di difendere un colpevole o, comunque, di assumere una posizione che sai non corretta?

Quale avvocato non si è sentito rivolgere questo tipo di domanda! In realtà, è una domanda che credo (e spero) si siano posti un po’ tutti gli avvocati almeno una volta nella loro carriera, specie quelli che professano un credo cristiano.

Bene, senza pretesa di verità o di risolvere una volta per tutte l’eterno dilemma, proviamo a ragionare insieme. Lo facciamo partendo da un passo di quello che è un libro guida per ogni avvocato e che proprio ogni avvocato dovrebbe avere nella libreria, “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”, di Piero Calamandrei:

Per giudicare l’utilità processuale degli avvocati, non bisogna guardare il difensore isolato, la cui attività unilaterale e partigiana, presa in sé, può sembrar fatta apposta per trarre i giudici fuori di strada; ma bisogna considerare il funzionamento nel processo dei due difensori contrapposti, ciascuno dei quali, colla propria parzialità, giustifica e rende necessaria la parzialità del contraddittore.
Imparziale deve essere il giudice, che è uno al di sopra dei contendenti; ma gli avvocati son fatti per esser parziali, non solo perché la verità è più facilmente raggiunta se è scalata da due parti, ma perché la parzialità dell’uno è la spinta che genera la controspinta dell’avversario, l’impulso che eccita la reazione del contraddittore e che, attraverso una serie di oscillazioni quasi pendolari da un estremo all’altro, permette al giudice di cogliere nel punto di equilibrio, il giusto.
Gli avvocati forniscono al giudice le sostanze elementari dalla cui combinazione si genera a un certo momento, nel giusto mezzo, la decisione imparziale, sintesi chimica di due contrapposte parzialità. Essi debbono esser sempre considerati come «coppia», anche nel senso che questa espressione ha in meccanica: sistema di due forze equivalenti, le quali, operando su linee parallele in direzione opposta, generano il moto, che dà vita al processo, e trova quiete nella giustizia”.

(PIERO CALAMANDREI, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Ed. Ponte alle grazie, 1999 terza ristampa, pp. 121-122)

1. Come funziona la giustizia.

Non si può comprendere il senso della professione forense se prima non si comprende come la giustizia pervenga al giudizio finale.
La verità processuale (quella reale è, ahinoi o per nostra fortuna, nelle mani del Creatore) viene raggiunta tramite l’incontro-scontro di tre soggetti: una parte, la controparte, il giudice. Questo vale per il penale come per il civile: la pubblica accusa la difesa e il giudice, nel primo; l’attore, il convenuto e il giudice, nel secondo.

Il giudice è imparziale, le parti no (lo stesso termine “parte” è chiarificatore).

Pensiamo al simbolo per eccellenza della giustizia: la bilancia. Il gioco di forze fisiche che fa funzionare la bilancia è emblema del gioco di forze psichiche che vede contrapposte tesi estreme. Come i due piatti della bilancia, tanto più si allontanano dal centro del giogo, tanto più garantiscono precisione all’apparecchio, così le contrapposte parti processuali, tanto più estremizzano la loro posizione di parte allontanandosi dall’imparzialità del giudice (il giogo), tanto più garantiscono il buon funzionamento della macchina processuale.

 

2. Qual è dunque il compito del difensore?

Semplicemente quello di prendere le difese di una parte, di rappresentare i fatti così come osservati dagli occhi del proprio assistito, di offrire al giudice un quadro della realtà secondo lo stile e la sensibilità propria del suo assistito.

Suo compito è quello di trasformare in linguaggio logico e giuridico le argomentazioni passionali e spesso disarticolate del proprio assistito; sua funzione sociale, prima ancora che processuale, è quella di mettere nelle condizioni il giudice di visualizzare la realtà da un preciso punto di vista. Giudice che avrà la possibilità di visualizzare la realtà anche dall’altro punto di vista, estremo, opposto.

Nel gioco dei vuoti e dei pieni di entrambe le posizioni, il giudice, imparziale e indipendente, avrà la possibilità di comporre il quadro con equilibrio e completezza.

 

3. Il ruolo dell’avvocato

L’avvocato, quindi, non tradisce la giustizia quando ripercorre i fatti processuali secondo la logica più consona alla posizione del proprio assistito. Proprio perché la verità è composizione di più esperienze, incontro di più sensibilità. Anche l’accusa, nel processo penale, o l’attore, nel processo civile, non è scevro da parzialità: anch’egli difende una tesi, è portato naturalmente ad omettere fatti favorevoli alla controparte o a leggere i documenti con occhio di parte.

Ecco perché l’avvocato ha una funzione fondamentale nella giustizia:

  • non esisterebbe processo equo senza che l’imputato abbia avuto la possibilità di rivedere i fatti sotto la propria interpretazione;
  • non esisterebbe processo equo senza che la pubblica accusa abbia potuto subire il pungolo dell’azione garantista della difesa;
  • non esisterebbe processo equo senza che il giudice abbia potuto ascoltare da due campane diverse la musica della realtà che gli giunge tramite le carte processuali.

4. Difendere un colpevole, allora, che senso ha?

Proprio quello, da un lato, di garantire al colpevole stesso un processo giusto, una procedura secondo la legge, una pena adeguata all’azione commessa; dall’altro, di garantire alla popolazione che sia fatta autentica giustizia.

E se l’avvocato difensore sa di difendere un colpevole e sa che grazie alla sua azione quest’ultimo verrà mandato in libertà?

Qui interviene in nostro aiuto uno dei principi di più alta civiltà che la cultura romana (ma prima ancora il senso innato di giustizia) ci ha tramandato: il principio secondo cui si può essere condannati solo in base a prove evidenti di colpevolezza. L’avvocato difensore ha il compito di garantire che questo principio venga applicato sempre nelle aule di giustizia, sia quando porta alla punizione del colpevole, sia parimenti quando comporta la liberazione del colpevole.

Non sembra inutile ricordare che l’avvocato tradisce il suo mandato e la sua alta dignità sociale nel momento in cui falsifica la realtà, inganna con artifici il giudice, fa inceppare la macchina giudiziaria.

Ma ciò non accade:

  • ad esempio, quando il difensore esalta gli errori commessi dalla controparte e le carenze dell’impianto accusatorio: le parti, tutte, devono adempiere con diligenza ai propri compiti;
  • ancora, quando il difensore, profondo conoscitore della procedura, individua un vizio del procedimento che impedisce una condanna: la procedura è di per se stessa garanzia di giustizia nel giudizio finale;
  • infine, quando il difensore fa ricorso alla propria eloquenza per convincere il giudice della non colpevolezza del proprio assistito sulla base di quanto emerso nel corso del giudizio: è il giudice che deve essere capace di andare al cuore della vicenda ed individuare quell’equilibrio tra i due piatti della bilancia di cui parlavamo prima.

Certo, è esecrabile che un colpevole non venga perseguito.

Ma chi è “colpevole”? Solo chi viene riconosciuto tale in presenza di prove evidenti e a seguito di un regolare processo. Se non vi sono prove o se il processo non è stato regolare, tradirebbe in maniera grave i propri doveri l’avvocato che non si battesse per la liberazione dell’imputato.

Perché ciò che oggi si è risolto in favore del colpevole, domani si possa sempre risolvere in favore dell’innocente.

 

5. Ma l’avvocato cristiano come si deve comportare?

L’avvocato cristiano, paradossalmente, ha un motivo in più per difendere un colpevole.

È verità stupefacente della rivelazione cristiana quella di avere tutti noi un avvocato presso il Padre: Gesù, che intercede continuamente per noi e per la nostra salvezza. Così come è sempre verità della rivelazione cristiana quella di avere un accusatore, il Diavolo.
C’è un processo costante davanti a Dio, una accusa violenta a cui si frappone una difesa strenua. Abbiamo allora un difensore, proprio noi che siamo peccatori certi, dichiarati, confessi. Eppure questo difensore non si stanca di intercedere per noi. Ma come fa, mentendo forse? Certo che no. Falsificando la realtà per caso? Certo che no.

Lo fa come solo chi ama sa fare: portando agli occhi del Giudice una realtà diversa da quella portata dall’accusatore; quest’ultimo è accecato dall’odio per l’uomo, il nostro difensore è illuminato dall’amore per l’uomo.

*****

Dunque, essere o non essere difensori di un colpevole? La risposta è semplicemente essere professionisti diligenti, onesti e consapevoli del proprio ruolo nella giustizia umana. Per quella divina, grazie a Dio abbiamo un avvocato ben più competente e dalla nostra parte … e che non ci invierà mai parcella alcuna!”

Avv. Marco Ciamei
( © diritti riservati)

 

* Articolo già pubblicato sul sito www.fallacielogiche.it (autorizzazione concessa dall’amministratrice Silvia Molè)

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