Rientro di capitali e autoriciclaggio: gli effetti della collaborazione volontaria sul piano tributario e penale

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La normativa sul rientro di capitali, approvata al Senato italiano il 4 dicembre scorso, dopo aver delineato il funzionamento della procedura di collaborazione volontaria (per l’approfondimento clicca qui), affronta l’aspetto più importante ed interessante per il cittadino potenzialmente interessato: gli effetti sul piano tributario e penale della voluntary disclosure.

La nuova procedura si distingue subito dalle precedenti (denominate infatti ogni volta “scudo fiscale”), in quanto non si caratterizza per un condono, ma solo per una diminuzione delle sanzioni penali e tributarie, rimanendo quindi pressoché inalterata l’imposizione fiscale precedentemente dovuta.

Anche in questo caso la legge interviene aggiungendo l’articolo 5-quinquies al Decreto Legge n. 167/1990 (convertito poi con modificazioni nella Legge n. 227/1990).

 

1. Le conseguenze penali (art. 5-quinquies, commi 1-3).

Nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria è esclusa la punibilità per i seguenti delitti previsti dal Decreto Legislativo n. 74/2000:

  • dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2);
  • dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3);
  • dichiarazione infedele (art. 4);
  • dichiarazione omessa (art. 5);
  • omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis);
  • omesso versamento di Iva (art. 10-ter).

Per alcuni di questi reati sono previste soglie minime al di sotto delle quali non scatta la punibilità. Si tratta, comunque, di soglie molto basse (ad es. € 30.000.00 di imposta evasa per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante ricorso ad altri artifici), con conseguente incentivo di fatto al ricorso alla procedura di collaborazione volontaria, riferendosi quest’ultima in genere a patrimoni importanti.

Viene esclusa la punibilità anche per i delitti di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.). L’esclusione di punibilità viene poi estesa anche al nuovo reato di autoriciclaggio, inserito nel codice penale (art. 648-ter.1 c.p.) dalla presente legge, per le condotte commesse sino alla data del 30 settembre 2015: ossia la data massima entro la quale può essere avviata la procedura di collaborazione volontaria.

Vi è da tenere presente, comunque, che la non punibilità per tutti tali reati è limitata alle condotte relative esclusivamente agli imponibili riguardanti le attività oggetto di voluntary disclosure.

 

2. Le conseguenze tributarie. (art. 5-quinquies, commi 4-9).

Ribadito quanto anticipato precedentemente, ossia che sono dovute integralmente le imposte per i patrimoni dichiarati nella procedura di collaborazione volontaria, quest’ultima produce comunque effetti fortemente riduttivi delle sanzioni amministrative tributarie di volta in volta applicabili. In presenza di specifiche condizioni, infatti, sono previste sanzioni inferiori al minimo edittale per singole fattispecie.

2.1 La prima sanzione amministrativa da tenere in considerazione è quella prevista dall’art. 5, comma 2, del D.L. 167/1990 (omessa compilazione del quadro RW nella dichiarazione dei redditi), il quale, dopo la novella della Legge n. 97/2013, prevede due tipi di sanzioni:

  • dal 3% al 15% degli importi non dichiarati e detenuti in Stati che hanno stipulato con l’Italia convenzioni sullo scambio di informazioni (secondo il modello OCSE, dunque Stati inseriti nelle White list);
  • dal 6% al 30% degli importi non dichiarati se detenuti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (c.d. paradisi fiscali, inseriti nelle Black list)

Dunque, il contribuente che decida di avviare la procedura di collaborazione volontaria si vedrà applicata tale sanzione nella misura del minimo edittale ridotto della metà (dunque 1,5% o 3%):

a)   se le attività vengono trasferite in Italia o in Stati membri dell’UE o dello Spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni con l’Italia (Paesi rientranti nelle c.d. white list);

b)   se le attività trasferite in Italia o nei predetti Stati erano o sono ivi detenute;

c)   se, anche al di fuori dei casi precedenti, l’autore delle violazioni rilascia all’intermediario finanziario estero presso cui le attività sono detenute l’autorizzazione a trasmettere alle autorità finanziare italiane tutti i dati concernenti le attività oggetto di collaborazione volontaria (allegando tale dichiarazione controfirmata dall’intermediario estero.

In tutti gli altri casi si applica la sanzione del minimo edittale ridotto di un quarto (dunque 2,25% o 4,5%).

2.2  Per le sanzioni previste in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, imposte sostitutive, IRAP, IVA, ritenute, si applica ogni volta il minimo edittale ridotto di un quarto.

In caso di omessa o infedele dichiarazione, invece, le sanzioni oscillano, rispettivamente, tra il 120% e il 240% della maggiore imposta accertata nel primo caso e tra il 120% e il 240% dell’imposta accertata nel secondo.

2.3 Da ultimo, va tenuto presente che a tutti tali importi sanzionatori si potrebbe applicare:

  • la riduzione di un terzo delle imposte globalmente calcolate dall’Amministrazione finanziaria, in applicazione dell’istituto dell’acquiescenza (previsto dall’art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997);
  • la riduzione alla metà del minimo edittale in considerazione delle “eccezionali circostanze” previste dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997;
  • l’aumento di un terzo della sanzione irrogata se i maggiori redditi sono stati prodotti all’estero e l’aumento della metà se sono stati prodotti in Paesi inseriti nelle Black list (anche tale aspetto verrà meglio esaminato nell’ultimo contributo).

 

3. La situazione specifica del rientro di capitali dai Paesi inseriti nelle Blask list, in particolare la Svizzera, merita un esame approfondito a parte. Si rimanda a tal fine al prossimo contributo.

Avv. Marco Ciamei
(© diritti riservati)

 

Riferimenti normativi:
Disegno di legge n. 2247-2248, Senato della Repubblica italiana
Decreto Legge 28 gennaio 2014 n. 4 (convertito con modificazioni nella Legge 28 marzo 2014 n. 50)
Legge 6 agosto 2013 n. 97
Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n. 74
Decreto Legislativo 18 dicembre 1997 n. 472
Codice penale italiano, art. 648-bis
Codice penale italiano, art. 648-ter

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Lo Studio Legale Ciamei si occupa di tali questioni ed è disponibile ad essere contattato.

 

Rientro di capitali e autoriciclaggio: il funzionamento della procedura di collaborazione volontaria

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Come si è detto nel contributo precedente, la nuova normativa in materia di rientro di capitali e autoriciclaggio (che introduce gli articoli da 5-quater a 5-septies nel D.L. 167/1990, in materia di trasferimento di valori da e per l’estero) prevede una procedura di collaborazione volontaria, che vede come protagonista l’autore della violazione.

Quest’ultimo, nella prima versione del disegno di legge, era indicato unicamente tra le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici. Nel corso dell’esame parlamentare, poi, tale possibilità è stata estesa anche agli enti commerciali e a tutti i tipi di società (quindi anche di capitali). Inoltre, la procedura è stata estesa anche alle violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali (IRPEF), alle imposte sostitutive, all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), all’imposta sul valore aggiunto (IVA), nonché alle violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta.

Tecnicamente, quindi, la normativa non riguarda solo i capitali che rientrano dall’estero, quanto più in generale i capitali che, ubicati all’estero o in Italia, “rientrano” nell’alveo della legalità fiscale.

1. La procedura vera e propria (comma 1, lettera a), art. 5-quater) prevede che il contribuente, mediante una apposita richiesta, indichi spontaneamente all’Agenzia delle Entrate tutti i beni (denaro, valori, investimenti, immobili, dividendi, ecc.) detenuti all’estero o in Italia e mai dichiarati. A tal fine, il richiedente dovrà fornire i documenti e le informazioni necessarie:

  • a determinare i redditi che servirono a costituire tali beni;
  • ad individuare maggiori imponibili (agli effetti di IRPEF, IRAP, IVA, ecc.).

Una volta ricevuta la richiesta, l’Amministrazione finanziaria accerta il quantum dovuto ed invia al contribuente un “invito a comparire”: si tratta di una presa di posizione sulla richiesta di collaborazione volontaria che riconosce l’esistenza dei requisiti ed indica tempi e modalità per il pagamento di quanto dovuto. Il contribuente, a questo punto, ha la possibilità di scegliere tra:

  • aderire all’invito, versando le somme dovute entro il termine stabilito ed in un’unica soluzione, ovvero con possibilità di rateizzazione in 3 mensilità (la violazione di una sola delle condizioni comporta il venir meno degli effetti della procedura);
  • non aderire all’invito, in questo caso non completandosi la procedura e cominciando a decorrere per l’Amministrazione finanziaria il termine breve di 90 giorni per la notifica dell’avviso di accertamento (con ogni evidenza si tratta di una previsione che di fatto obbliga il contribuente a concludere la procedura una volta avviata).

In caso di adesione, entro 30 giorni dal pagamento l’Agenzia delle entrate comunica all’autorità giudiziaria competente la conclusione della procedura di collaborazione volontaria, al fine di applicare le esimenti, gli sconti di pena e le riduzioni sanzionatorie previste quale incentivo al rientro di capitali (comma 3, art. 5-quater).

2. La collaborazione volontaria non è ammessa (comma 2, art. 5-quater) se la violazione è già stata contestata o, più precisamente, se l’autore della violazione abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni o verifiche (quindi un accertamento tributario o penale per violazione di norme fiscali) riconducibili ai beni. Evidente la ratio di tale limite: la collaborazione volontaria si fonda sulla “spontaneità” della richiesta di regolarizzazione da parte del contribuente, non potendo quest’ultimo approfittare di tale eccezionale facoltà al solo fine di evitare conseguenze più gravi per accertamenti già avviati.

La richiesta di collaborazione volontaria, inoltre, non può essere presentata più di una volta.

Il termine ultimo per l’inoltro della richiesta di collaborazione volontaria è fissato al 30 settembre 2015 (comma 5, art. 5-quater).

Le modalità di presentazione dell’istanza di collaborazione volontaria e di pagamento dei relativi debiti tributari saranno disciplinate dall’Agenzia delle entrate con proprio provvedimento da emanare entro 30 giorni dall’entrata in vigore della normativa (ossia, dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale).

3. Si possono trarre le prime considerazioni sulla base di quanto esposto in merito alla procedura di collaborazione volontaria. In particolare, salta all’evidenza come quest’ultima non sia caratterizzata dall’anonimato. Ciò comporta una serie di conseguenze.

Innanzitutto, il contribuente che intenda regolarizzare la sua posizione tributaria-fiscale con il Fisco italiano mediante tale procedura deve valutarne attentamente e preventivamente tutte le conseguenze, sia di ordine tributario che penale. Una volta avviata la procedura, infatti, l’Amministrazione finanziaria ha a disposizione il nominativo del contribuente e la documentazione completa relativa ai beni sottratti alle dichiarazioni di legge. L’eventuale (rectius: sicura) apertura di una procedura di infrazione, a seguito della mancata accettazione del “invito a comparire”, sarà quindi difficilmente contestabile.

In secondo luogo, l’assenza di anonimato va di pari passo con la facoltà data alle varie Amministrazioni dello Stato di scambiare le informazioni assunte con la procedura di collaborazione volontaria. Ciò potrebbe far sì che il contribuente venga in un certo senso “schedato”, con ogni ripercussione sulle future scelte fiscali-tributarie del contribuente stesso.

Peraltro, nella procedura di voluntary disclosure potrebbero essere coinvolti anche altri soggetti (società utilizzate per l’occultamento del denaro, soggetti intermediari, ecc.), i quali verrebbero così esposto loro malgrado – e magari a loro insaputa – ad una procedura di contestazione penale e tributaria.

4. Nel prossimo contributo si esamineranno nel dettaglio gli effetti della collaborazione volontaria sul piano tributario e penale.

Avv. Marco Ciamei
(© diritti riservati)

 

Riferimenti normativi:
Disegno di Legge n. 2247-2248, Senato della Repubblica italiana
Decreto Legge 28 giugno 1990 n. 167 (convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto 2990 n. 227)

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Lo Studio Legale Ciamei si occupa di tali questioni ed è disponibile ad essere contattato.

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Rientro dei capitali e autoriciclaggio: sanatoria per i patrimoni non dichiarati detenuti all’estero (e non solo)

Il Senato della Repubblica italiana ha approvato in via definitiva, ieri 4 dicembre 2014, il Disegno di legge n. 2247-2248 A a firma dei deputati Causi, Sottanelli, Sberna e Gebhard, precedentemente approvato dalla Camera dei deputati, dal titolo emblematico “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero, nonché per il potenziamento della lotta all’evasione. Disposizioni in materia di autoriciclaccio”.

La nuova normativa, che entrerà in vigore quando verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale italiana, intende sostanzialmente riproporre il contenuto dell’art. 1 del D.L. 4/2014 (emersione e rientro di capitali detenuti all’estero, lotta all’evasione fiscale), articolo allora soppresso durante l’iter parlamentare per essere trasfuso nel Progetto di legge sfociato nella normativa in esame. Si tratta di un intervento normativo inserito in un più vasto programma di lotta ai fenomeni di illecito fiscale internazionale in attuazione delle raccomandazioni dell’OCSE (settembre 2010) e dalla relazione della Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per lo studio sull’auto-riciclaggio (c.d. Commissione Greco).

Con la legge in parola si introduce per la prima volta nell’Ordinamento italiano lo strumento della collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure): in sostanza, i soggetti che detengono attività e beni all’estero o in Italia, ed hanno omesso di dichiararli, possono sanare la propria posizione nei confronti dell’Erario pagando le imposte dovute, in tutto o in parte, e le sanzioni, in misura ridotta, potendo contare inoltre sulla non punibilità per alcuni reati fiscali.

Ciò potrà avvenire sino al 30 settembre 2015 per le violazioni commesse sino al 30 settembre 2014, a condizione che non sia stata o non venga prima avviata un’attività di accertamento fiscale o penale.

La nuova normativa, poi, introduce nel codice penale il reato di autoriciclaggio, prevedendo pene importanti (da 2 a 8 anni e multa da 5mila a 25mila euro) per chi – semplificando – commette o concorre a commettere un delitto e ne impiega il denaro da esso proveniente in attività economiche al fine di occultare la provenienza delittuosa del denaro stesso.

La nuova normativa prevede che le maggiori entrate derivanti da tale sanatoria (si ipotizzano dai 5 ai 10 miliardi di euro per l’Erario) saranno destinate al pagamento dei debiti commerciali dello Stato, agli investimenti pubblici ed alla riduzione fiscale. Inoltre, anche per far fronte all’incremento di attività a carico dell’Agenzia delle entrate conseguente alle procedure previste dalla normativa, è stabilita un’assunzione di personale, nuovo o già nelle graduatorie nel frattempo approvate.

Nei prossimi contributi verranno esaminate approfonditamente le seguenti questioni:

Ai prossimi appuntamenti.


Avv. Marco Ciamei
(© diritti riservati)

 

Riferimenti normativi:
Disegno di legge n. 2247-2248, Senato della Repubblica italiana
Decreto Legge 28 gennaio 2014 n. 4 (convertito con modificazioni nella Legge 28 marzo 2014 n. 50)
OCSE, “Offshore Voluntary Disclosure – Comparative analysis, guidance and policy advice”, settembre 2010

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Lo Studio Legale Ciamei si occupa di tali questioni ed è disponibile ad essere contattato.

 

 

 

L’esecuzione di un titolo italiano in Svizzera e viceversa: la convenzione di Lugano

L’esecuzione di un titolo italiano in Svizzera e viceversa: la convenzione di Lugano

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Negli articoli precedenti si è esaminato, in modo sommario e puramente descrittivo, il recupero del credito in Italia ed in Svizzera, delineando similarità e differenze, ponendo l’accento su quanto prevede la normativa e quali siano le procedure da seguire.

1. Come portare ad esecuzione un titolo giudiziario estero in Svizzera

In questa sede si affronterà la seguente questione: un creditore in possesso di un titolo esecutivo conseguito in Italia o in Svizzera, come può portarlo in esecuzione rispettivamente in Svizzera o in Italia? Si tratta di una questione specificatamente di diritto transfrontaliero, che è regolata – tra le altre norme – dalla Convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, meglio nota come la Convenzione di Lugano, stipulata nella nota città ticinese il 30 ottobre 2007.

Tale convenzione ha visto la partecipazione di tutti gli stati dell’UE e dell’AELS, quindi, nello specifico, dell’Italia e della Svizzera. La stessa è stata ratificata sia in Svizzera che in Italia.

 

2. La Convenzione di Lugano del 2007

La Convenzione di Lugano del 2007 (che ha aggiornato, sostituendola, l’omonima convenzione del 1988) si applica alle materie civili e commerciali, con esclusione di alcune materie, riferibili per lo più a diritti della personalità, familiari, fallimentari, ecc. Riguarda, inoltre, le sole “decisioni” assunte dagli organi giurisdizionali.

Il creditore in possesso di una decisione giudiziaria esecutiva, quindi, deve prima ottenere una dichiarazione di esecutività del provvedimento da parte dell’Organo giurisdizionale che lo ha emesso. Una volta in possesso di tale dichiarazione, il creditore deve che lo Stato estero dichiari l’esecutività della decisione nel proprio Stato: tale procedura (detta di exequatur) è snella, poiché il Giudice estero non deve entrare nel merito della decisione, ma unicamente verificare che vi siano tutti i requisiti formali di riconoscibilità previsti dalla Convenzione di Lugano.

In particolare, la decisione dello Stato estero potrà essere riconosciuta se

– (requisito positivo) vengono rispettati i requisiti formali previsti nella Convenzione (ad es., presenza della dichiarazione di esecutività, autenticità della copia della decisione, ecc.),

– e se (requisito negativo) se non vengono riscontrate violazioni gravi (ad es., contrarietà della decisione all’ordine pubblico dello Stato riconoscente, mancata garanzia di adeguato contraddittorio nel giudizio dello Stato estero, contrarietà della decisione ad altra emessa e definitiva, ecc.).

La decisione estera viene riconosciuta esecutiva dal Giudice a ciò delegato (in Svizzera la Pretura distrettuale, in Italia la Corte di Appello). Una volta dichiarato l’exequatur, la decisione estera viene parificata a tutti gli effetti ad una decisione giudiziaria interna dello Stato “ospitante” e, quindi, soggetta alla normativa di quest’ultimo in materia di esecuzione di un titolo esecutivo: in Italia il codice di procedura civile (CPC), in Svizzera la legge federale sull’esecuzione e sul fallimento (LEF).

 

3. Il sequestro e i provvedimenti cautelari

Durante la procedura di exequatur, dunque nelle more della procedura volta al riconoscimento dell’esecutività di una decisione straniera nel proprio Stato, il creditore può chiedere l’emissione dei provvedimenti cautelari, di tipo conservativo, nel rispetto della normativa interna allo Stato presso cui deve essere riconosciuta la decisione straniera.

A tal riguardo, bisogna segnalare una particolarità nell’esecuzione in Svizzera delle decisioni estere, riconosciute ai sensi della Convenzione di Lugano. La legislazione svizzera prevede un’autonoma causa di sequestro nella LEF (legge sull’esecuzione e sul fallimento) legata unicamente all’essere il creditore in possesso di una decisione per l’appunto riconosciuta ai sensi della Convenzione di Lugano. Dunque, il credito che ha ottenuto una decisione di exequatur in Svizzera, può direttamente procedere con sequestro contro il debitore ivi domiciliato, a prescindere dalle motivazioni di periculum in mora e di fumus boni iuris ordinariamente richiesti.

Si tratta di uno strumento di sicura efficacia nel recupero del credito in Svizzera, poiché permette al creditore di ottenere, in poco tempo e senza eccessive formalità, un immediato strumento coercitivo di particolare forza contro il debitore domiciliato all’estero.

 

4. Quanto costa far riconoscere ed eseguire una decisione estera in Svizzera?

Per tale tipo di procedimento è vivamente consigliato rivolgersi ad un legale, trattandosi di materia che coinvolge il diritto internazionale. Pertanto, ai costi di giustizia, legati al valore del credito fatto valere, bisogna aggiungere i compensi di patrocinio in giudizio.

Quanto ai costi di giustizia, questi sono anticipati da parte del creditore, ma vengono poi posti dal giudice interamente a carico del debitore e quindi recuperati nella fase esecutiva vera e propria. Gli onorari vengono recuperati solo in parte.

Ciò che più conta è che le chance di recupero del credito sono in Svizzera molto alte, come si evince dalla prassi e dalle considerazioni che precedono.

Avv. Marco Ciamei
(© diritti riservati)

Riferimenti normativi:
Convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007
Codice di procedura civile italiano
Legge federale svizzera sull’esecuzione e sul fallimento

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Il presente articolo è consultabile anche nelle seguenti lingue:

Inglese

Francese

Tedesco

 

Il recupero del credito in Svizzera

 

 

Anche in Svizzera, come in Italia (cfr. articolo precedente), per poter richiedere l’esecuzione pubblica di un credito è necessario essere in possesso di un titolo esecutivo.

Tuttavia, a differenza che in Italia, l’azione esecutiva vera e propria può essere avviata dal creditore sulla base di una sua mera richiesta. Il creditore, in particolare, compilando un formulario approvato dal Cantone può fare domanda di esecuzione nei confronti del debitore. Tale domanda va indirizzata all’Ufficio esecuzione e fallimenti (UEF) del distretto in cui ha domicilio il debitore (o sede, se è una persona giuridica). La domanda di esecuzione interrompe la prescrizione e obbliga l’UEF a far spiccare il precetto esecutivo contro il debitore.

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Il recupero del credito in Italia

1. Per poter procedere al recupero del credito in Italia è necessario essere in possesso di un “titolo esecutivo”, ossia di uno strumento giuridico a cui la legge riconosce espressamente la forza di attivare la procedura esecutiva. E’ titolo esecutivo (cfr. art. 474 del codice di procedura civile italiano, CPC):

  • le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
  • le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute;
  • le cambiali, nonché gli altri titoli di credito (ad esempio assegni) ai quali la legge attribuisce espressamente la sua stessa efficacia;
  • gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli.

Nella maggior parte dei casi, quindi, il creditore che non sia in possesso già di un titolo – ad esempio un assegno o una cambiale – dovrà avviare una causa giudiziaria per ottenere una sentenza definitiva. Ciò comporta il rischio di far passare molto tempo tra il sorgere del credito e la possibilità di avviare la procedura esecutiva, poiché (come è noto) i processi civili in Italia possono durare anche molti anni. Al riguardo, bisogna tener presente che l’ordinamento giuridico italiano conosce uno strumento specifico per ottenere un titolo esecutivo in tempi relativamente brevi: il decreto ingiuntivo. Si tratta di una procedura sommaria che si avvia con ricorso, il quale, se munito di una serie di requisiti (il più importante è la prova scritta del credito), viene accolto dal Giudice: questi ordina quindi al debitore di pagare quanto dovuto al creditore, concedendo un termine breve (40 giorni se il debitore risiede in Italia, di più se all’estero) per o pagare o presentare opposizione. A questo punto:

  • se il debitore intende proporre opposizione, deve farlo avviando una vera e propria causa civile, contestando il credito fatto valere nella procedura sommaria;
  • se il termine per l’opposizione scade senza che il debitore vi abbia interposto opposizione, il decreto ingiuntivo diventa titolo per avviare l’esecuzione.

Peraltro, in presenza di alcune circostanze (prova scritta qualificata, pericolo di pregiudizio nel ritardo, riconoscimento di debito, ecc.), il Giudice può emettere il decreto ingiuntivo autorizzando l’esecuzione provvisoria, quindi senza dover attendere il termine per l’opposizione.

 

2. Una volta in possesso di un titolo esecutivo, questo deve essere notificato al debitore, precedentemente o unitamente all’atto di precetto. Quest’ultimo consiste in un atto che predispone il creditore in cui si intima al debitore di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di 10 giorni con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata.

Il precetto deve essere notificato al debitore tramite l’Ufficio di notificazione presente nel circondario di ogni Tribunale. Il precetto ha una efficacia di 90 giorni, entro i quali deve essere avviata la procedura esecutiva. In caso contrario, dovrà procedersi ad una nuova notifica del precetto. La notificazione del precetto interrompe ogni termine di prescrizione.

3. Una volta notificato il titolo esecutivo ed il precetto, decorso il termine di 10 giorni dalla notifica ed entro 90 giorni dalla presentazione all’Ufficiale giudiziario, può essere avviata la vera e propria procedura esecutiva, chiamata “espropriazione forzata”. Anche in questo caso, è sempre il creditore a dover dare impulso alla procedura (che sarà poi diretta da un Giudice), chiedendo l’esecuzione del pignoramento. Quest’ultimo può avere ad oggetto:

  • beni mobili, e la procedura verrà chiamata “esecuzione mobiliare”;
  • beni immobili, e la procedura verrà chiamata “esecuzione immobiliare”;
  • beni in possesso di terzi, e la procedura verrà chiamata “esecuzione mobiliare presso terzi”

In realtà esistono altre possibilità (esecuzione per consegna di beni mobili, di rilascio di beni immobili, ecc.), ma non verranno affrontati in questa sede. Chiesto il pignoramento, la procedura si conclude o con la vendita dei beni pignorati, ed il creditore verrà soddisfatto sul ricavato, o l’assegnazione dei beni stessi al creditore, con soddisfazione in natura.

Avv. Marco Ciamei
(© diritti riservati)

Riferimenti normativi:
Codice di procedura civile italiano

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Lo Studio Legale Ciamei si occupa di tali questioni ed è disponibile ad essere contattato per ogni necessità in merito.

Segue:
Il recupero del credito in Svizzera