Rientro di capitali e autoriciclaggio: il caso particolare della Svizzera

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La normativa sul rientro di capitali, approvata al Senato italiano il 4 dicembre dello scorso anno, è stata pubblicata il successivo 17 dicembre nella Gazzetta Ufficiale italiana (Serie Generale, n. 292) con il n. 186, ed è entrata in vigore il 1° gennaio di quest’anno.

In attesa, quindi, che l’Agenzia delle Entrate emani le direttive recanti le modalità di presentazione dell’istanza di collaborazione volontaria e di pagamento dei relativi debiti tributari (il termine è di 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, dunque entro il 31 gennaio 2015), si può ora affrontare l’ultimo aspetto di rilevante interesse: le particolarità del rientro di capitali dai Paesi inseriti nelle Black List, in specie la Svizzera.

Sono i capitali italiani detenuti in questo Paese, infatti, l’oggetto principale dell’intervento normativo, considerando il fatto che ivi si colloca presumibilmente oltre l’85% del “nero” in fuga dal Bel Paese.

1. Nel precedente articolo sulle conseguenze tributarie e penali della procedura di collaborazione volontaria si è visto che sui capitali emersi andranno corrisposte le sanzioni da mancata dichiarazione, ridotte di volta in volta secondo varie percentuali.

In particolare, la sanzione amministrativa da omessa compilazione del quadro RW nella dichiarazione dei redditi (che va da un minimo del 6% ad un massimo del 30% degli importi non dichiarati se questi ultimi erano o sono detenuti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato), viene calcolata alla metà del minimo, dunque alla metà del 6%.

La Svizzera rientra tra quegli Stati che non hanno stipulato con l’Italia un accordo che consenta l’effettivo scambio di informazioni ai sensi dell’art. 26 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni predisposto dall’OCSE. Pertanto, in tale caso si applica la sanzione pari al 3% (metà del minimo pari al 6%).

In via eccezionale, tuttavia, il comma 7 del nuovo art. 5-quinquies del D.L. 167/1990 (convertito nella Legge 227/1990), stabilisce che la sanzione amministrativa minima da omessa compilazione del quadro RW nella dichiarazione dei redditi verrà calcolata al 3% – dunque non più al 6% – se le attività oggetto della collaborazione volontario erano o sono detenute in Stati che stipulino con l’Italia, entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge, accordi che consentano un effettivo scambio di informazioni ai sensi del modello OCSE.

Considerando l’entrata in vigore della Legge al 1° gennaio 2015, Italia e Svizzera hanno tempo sino al 2 marzo 2015 per stipulare un accordo in tal senso.

2. La stipula di tale accordo consentirebbe, poi, anche due ulteriori vantaggi al contribuente che intendesse avvalersi della procedura di collaborazione volontaria.

Nel 2009 è stato emanato il Decreto Legge n. 78 (convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102), il quale agli articoli 12 e 12-bis prevedeva, e prevede tutt’ora, disposizioni esplicitamente atte a favorire il contrasto ai paradisi fiscali. Tali norme prevedevano, in particolare, il raddoppio delle sanzioni ed il raddoppio dei termini di prescrizione (da 5 a 10 anni) per l’avvio dell’accertamento fiscale.

La Legge sul rientro di capitali prevede, invece, che in caso di conclusione di accordi sul modello OCSE tali due norme non si applichino.

3. All’esito di tale disamina, si comprende come la valutazione dei vantaggi e degli svantaggi dell’adesione alla voluntary disclosure da parte del contribuente italiano che detiene investimenti in Svizzera dipenderà, in modo fondamentale, da se e come i due Paesi decideranno di raggiungere un’intesa entro il termine fissato.

La  nuova normativa, comunque, si inserisce pienamente nell’alveo della sempre maggiore pressione internazionale esercitata contro i c.d. paradisi fiscali, come conseguenza naturale della crisi internazionale scoppiata nel 2008. La Svizzera, in realtà, non era dal punto di vista fiscale un “paradiso” – la tassazione elvetica rientrava nei parametri di normalità, pur essendo sensibilmente vantaggiosa rispetto agli altri Paesi – ma la mancanza di adesione ai nuovi modelli internazionali in materia di scambio di informazioni (c.d. segreto bancario) e di antiriciclaggio, aveva determinato l’inserimento di tale Paese nelle famose Black List, con ripercussioni importanti per l’economia elvetica.

In realtà, già nel 2009 il Consiglio federale aveva annunciato di voler adottare lo standard OCSE nell’assistenza amministrativa riguardante lo scambio di informazioni. Tuttavia, la mancanza di apposite convenzioni bilaterali con (nel nostro caso) l’Italia, ha determinato la persistente decisione di quest’ultima di mantenere la Svizzera nelle liste nere.

Evidente, quindi, l’intenzione del legislatore italiano di “forzare” ancora di più i tempi per il raggiungimento di un’intesa, già in discussione per la verità, sulla collaborazione amministrativa.

Si dovrà attendere la conclusione delle trattative, verificando se ciò avverrà nei tempi tassativi indicati dalla Legge 186/2014 e, fatto di non secondaria importanza, se tali accordi affronteranno anche altri temi bilaterali in discussione da molto tempo (uno tra tutti, l’accordo sulla tassazione dei frontalieri). Sempre tenendo presente, però, che ogni eventuale intesa comprenderà obbligatoriamente anche elementi finanziari riconducibili al periodo intercorrente tra la data di stipula e quella di entrata in vigore: con ciò rendendosi impossibili “fughe” in extremis.

Avv. Marco Ciamei
(© diritti riservati)

 

Riferimenti normativi:
Legge 15 dicembre 2014 n. 186
Decreto Legge 28 gennaio 2014 n. 4 (convertito con modificazioni nella Legge 28 marzo 2014 n. 50)
Decreto Legge 1° luglio 2009, n. 78 (convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102)
OCSE, “Offshore Voluntary Disclosure – Comparative analysis, guidance and policy advice”, settembre 2010
Decisione del Consiglio federale svizzero del 13 marzo 2009, adesione modello OCSE

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